Petroro si colloca in quella fitta rete difensiva che caratterizzò la storia del Comune di Todi dagli inizi del XIII Secolo, ma la sua origine romana sembra documentata dalla presenza di una gens Petreja qui individuata da storici del ‘600 e ‘700.

Nel censimento del 1290 il luogo era indicato come “castrum” ed era l’unico punto fortificato dell’intero plebato di Santa Maria di Due Santi e per questo posto a difesa delle vicine ville di Frontignano di Mezzo, Due Santi, Lambrognano, Coppi, San Damiano, San Giovanni di Busseto e Migliola.
Dalla seconda metà del ‘200 infatti il Comune di Todi, in piena espansione aveva avvertito la necessità di ordinare il suo immenso comitato anche ai fini fiscali dividendolo in diciannove plebati e questi, a loro volta, in castelli e ville.
I castelli collocati lungo i punti strategici di difesa o grandi vie di comunicazione, le ville, dietro di questi con popolazione dedita alla produzione dei beni e servizi per l’intera comunità.
Nel ricordato censimento vi furono contate ben 60 famiglie, ovvero circa trecento abitanti. L’elevato numero di questi suggerisce pertanto quel particolare assetto urbanistico in gran parte giunto fino a noi.
Va ricordato inoltre che questo castrum era collocato lungo una dei principali diverticoli della Via Flaminia, il cui tracciato correva poco lontano da qui lungo la linea Santa Maria in Pantano – Viepri – Bevagna.
Era evidente infatti che il potente municipium romano rappresentato dall’antica Tuder per la sua importanza dovesse essere collegato a questa mediante un’ampia via di comunicazione che è stata individuata appunto nella strada che da Ponte Rio passa per Due Santi, Petroro, San Damiano, Castelvecchio. Il suo tracciato può essere ricostruito in base alla presenza di un forte nucleo di Chiese romaniche che da Ponte Rio erano e sono: San Epimaco e Gordiano, San Salvatore, Santa Maria, San Martino e Sant’Antimo.
Petroro, nel pieno rispetto della tipologia medievale era servito dalla parrocchiale di San Biagio immediatamente al di fuori delle mura castellane, era collocata tra queste ultime due e serviva anche come punto di difesa e di ricovero di una delle più importanti vie di comunicazione per i pellegrini che andavano a Gerusalemme.
Si tratta, tra l’altro, di un luogo collocato su una delle medievali vie gerosolimitane come attestato dalla presenza di Ospedali dell’Ordine di San Giovanni le cui sedi in Umbria si trovavano, per quel che ci interessa, a Magione, San Sigismondo dell’Ammeto, San Martino di Frontignano e di San Lazzaro.
Ospedali e lebbrosari erano i luoghi di ricovero che i pellegrini incontravano sul loro cammino e qui sono testimoniati anche nelle visite apostoliche e pastorali.
Le chiese di San Martino e di Sant’Antimo sono abbondantemente attestate come priorati e canonicati nelle Rationes decimarum dal 1275 in avanti come appartenenti a congregazioni benedettine con priore e canonici, ma i ricorrenti stilemi romanici, il loro orientamento est-ovest, i loro catini absidali denunciano chiaramente la loro origine alto medievale.
La prima, inserita nel territorio del castello, dipendeva infatti dall’abbazia di Sassovivo insieme con il priorato di San Nicolò de Criptis di Todi la cui fondazione si fa risalire al 1093 e si ha motivo pertanto di credere che di questa fosse coeva. Nel ‘500 ebbe la dignità di commenda cardinalizia affidata al Cardinal Riario titolare anche di Sassovivo nipote del papa Giulio II. Anch’essa per legato di Francesco Maria Ridolfi passò nel 1711 all’Opera Pia di Santa Maria della Consolazione di cui tuttora fa parte.
Per quanto riguarda il castello si ricorda che nel 1296 per disposizione del consiglio generale del comune di Todi venne fortificato ed affidato ad un sindaco e due massari, il primo dei quali aveva competenza sulla amministrazione della attività ordinaria e della bassa giustizia, i secondi dell’aspetto economico finanziario.
Agli inizi del ‘300 venne inserito nel sistema difensivo che aveva il suo centro nel castello di Castelvecchio insieme con Lorgnano, Due Santi, Monte Lupone e Loreto.
Qui i suoi abitanti dovevano assicurare gli avvistamenti ed il servizio di sentinelle di giorno e di notte per turni di quindici giorni consecutivi, con attività tanto più delicata in quanto l’intera zona era attestata lungo uno dei più delicati confini dell’intero territorio medievale verso Foligno, Spoleto, Bevagna, città spesso ostili a Todi.
Si ha motivo di ritenere che gli accatastati del Castello fossero di tendenza ghibellina e per questo dovettero subire notevoli disagi nella Todi del XV secolo ormai dominata dai Guelfi capitanati dalla potente famiglia degli Atti.
Vi si perpetrò uno spaventoso eccidio nel 1499 allorchè vi si rifugiarono i fuoriusciti seguaci del ghibellino Altobello Chiaravalle braccato dalle truppe di Cesare Borgia, degli Orsini, dei Vitelli di Città di Castello e di Ludovico degli Atti da Todi. Costui trovò morte orrenda nell’estate dell’anno successivo dentro le mura di Acquasparta dopo aver lasciato le rovine di questo castello che la comunità di Todi voleva totalmente distrutto.
Forse fu salvato dalla demolizione totale da un provvedimento del consiglio generale del 1493 con il quale veniva concesso al castello ed ai suoi abitanti la cittadinanza todina dietro l’esborso di novantatrè ducati d’oro e dall’intervento degli Atti vincitori che intanto andavano costruendo loro dimore anche nel vicino castello di Due Santi.
Un lungo verbale in lingua latina della seduta consiliare del 18 dicembre 1493 si conserva ancor oggi nel registro delle Riformanze comunali di quell’anno ed è intitolato “Civilitas hominum castri Petrorii”.
Vi si legge, tra l’altro, che l’universitas (cioè la collettività del castello) aveva fatto istanza ai priori di Todi per ottenere il privilegio della cittadinanza e che questo era stato concesso dimodochè i castellani furono dichiarati cittadini pleno iure ... honoribus et oneribus. Onori ed oneri insomma che assimilarono costoro al regime fiscale dei cittadini assai più elastico e favorevole che non quello cui erano sottoposti i cives ruri degentes, ovvero dei comitatini.
L’esborso dei novantatrè fiorini d’oro dovette però essere assai oneroso per le ventotto persone rimaste nel castello i cui nomi sono tutti registrati nel documento, rispetto alle trecento persone di appena due secoli prima.
Il censimento del 1571 ci ricorda che la Chiesa Parrocchiale di San Biagio era stata aggregata a San Quirico di Casarsiccia e che vi si contavano 150 anime, settantatrè adulti e sessantasette minori.
Il riassetto napoleonico del 1810 ne contava 112, aggregati al cantone e circondario di Todi insieme con Due Santi, Lorgnano e Loreto ed affidati alla magistratura locale di Paolantonio Altiboni di Castel Rinaldi.
Nel territorio della cura di san Biagio intorno alla metà del ‘700, come risulta dal Calcolo del Catasto del 1749 si registravano proprietà del capitolo della Cattedrale di San Bernardino alla Fratta, degli Olivetani di Todi, del Monastero benedettino femminile delle Milizie di Todi dipendente dall’abbazia di San Paolo di Roma e dall’opera pia della Consolazione che risultava essere il maggiore proprietario terriero della zona.
L’attuale assetto urbanistico del Castello riflette l’arido linguaggio dei rilevamenti demografici.
È possibile ricostruire chiaramente l’intero circuito delle mura e della struttura interna dominata dal cassero centrale e dall’impianto cinquecentesco da attribuire alla presenza della famiglia Ridolfi, i cui stemmi sono spesso ricorrenti nel sito.
Intorno si trovano le case e alcuni casalini dei castellani per lo più addetti all’artigianato ed alla coltivazione di campi situati immediatamente al di là delle mura.
Vi si accede da una magnifica porta il cui arco di ingresso è ancor oggi dominato dall’aquila in pietra, stemma della città di Todi, murato nel 1577.
All’interno di questa è possibile osservare il sistema dei locali di servizio, di guardia e di gabella ancora perfettamente leggibili.
Una grande macina oggi collocata sulla piazza ricorda la presenza, all’interno del castello, di un molino da olio accanto al quale sorgeva il forno pubblico, attestati nel Brogliardo catastale del 1852 come ancora perfettamente funzionanti.
L'immobile è divenuto di proprietà dell'Opera Pia della Consolazione di Todi (all'epoca amministrata dalal Congregazione di Carità formata da nobili tuderti), grazie ad un importante lascito effettuato da Francesco Maria Ridolfi.
L'Opera Pia della Consolazione ebbe origine nell'anno 1527 e fu costituita con le donazioni dei fedeli che accorrevano a Todi per venerare l’immagine della Augusta Vergine nel tempio eretto su disegno di Bramante Lazzari, insigne architetto di quel tempo.  

 

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Cenni Storici

Castello di Petroro